Storytelling del menu: valorizzare i piatti per attirare e fidelizzare i clienti

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La maggioranza delle persone che si siede al tavolo di un ristorante, oggi, non cerca solo piatti buoni da mangiare. Vuole vivere un’esperienza positiva, ricca e coinvolgente, che inizia ben prima di mettere piede nel locale. Sì, perché l’esperienza parte dalla lettura delle recensioni online. Ovvero dal momento in cui il cliente potenziale consulta le piattaforme come Google e TripAdvisor per decidere dove prenotare e si fa un’idea di cosa può ottenere scegliendo proprio noi. Ecco perché è fondamentale, prima di tutto, che le informazioni che riguardano la nostra attività, disseminate sul web, siano corrette e coerenti. Se le indicazioni sugli orari di apertura non sono aggiornate, ad esempio, perderemo clienti. Se ci siamo dimenticati di specificare che accettiamo i pagamenti con carta di credito, scoraggeremo chi non ama usare i contanti. Ma ancora di più è indispensabile che sia chiara la nostra offerta.
Il menu ci regala moltissime opportunità di comunicazione con i clienti
Il nostro menu prevede una carta incentrata su alcuni grandi classici mediterranei, con pasta fatta in casa, pesci e carni e abbiamo anche opzioni interessanti per vegetariani, vegani e intolleranti? Se dimentichiamo di sottolinearlo molte persone rinunceranno a mangiare da noi, oggi che le esigenze in fatto di alimentazione si sono fatte sempre più specifiche e differenziate. Scrivere “cucina mediterranea a partire da ingredienti selezionati di grande qualità” non basta più.
Un menu ragionato e narrato è tra gli strumenti principali di comunicazione con i clienti. Non ci si può limitare alla declinazione delle portate sulla carta dei piatti. È fondamentale studiare l’offerta nel dettaglio e saperla raccontare, per dare all’avventore l’esperienza che cerca. Se sapremo soddisfare questa esigenza esperienziale avremo molte più chance di fidelizzare i clienti, che torneranno volentieri a trovarci.
L’esperienza del cliente nel locale inizia e finisce con le recensioni
Il menu, dunque, va raccontato. Partendo dalle schede del ristorante sui siti dedicati alle recensioni e continuando nel locale, quando ci si trova a tu per tu con il cliente. Oltre che al personale di sala, l’onere e l’onore di raccontare il menu deve essere affidato alla carta dei piatti, che va studiata nei minimi particolari e non deve mai essere uno sterile elenco delle pietanze che si possono ordinare e dei loro ingredienti. Per valorizzare al meglio l’offerta del ristorante si possono utilizzare tutta una serie di accorgimenti. Fotografie realizzate da un food photographer professionista, una carta progettata per guidare l’occhio e quindi la scelta dei clienti. Ma anche menu digitali come quelli della startup Dishcovery, in grado di tradurre nella lingua madre dell’avventore sia il nome del piatto in sé, sia soprattutto gli ingredienti che lo compongono e il loro valore aggiunto. Persino in russo e in cinese!
Ancora una volta la parola chiave è strategia. Lo storytelling del menu va costruito ad arte. Ed è possibile affidarsi a professionisti che aiutino a farlo. Secondo dati recenti (ricerca Dishcovery) i turisti stranieri spendono fino al 18% in più quando hanno di fronte un menu tradotto nella loro lingua. E la comprensione fa la differenza anche quando il turista è italiano.
La comprensione del menu fa la differenza e invoglia il cliente a spendere di più. E questo vale sia per gli avventori stranieri sia per gli italiani
Il racconto del menu trova spazio pure nelle risposte alle recensioni dei clienti. È un circolo virtuoso: le persone scelgono un ristorante leggendo i commenti online che lo riguardano e al termine dell’esperienza vissuta decidono di lasciare a loro volta una recensione. Positiva o negativa che sia, è importante utilizzarla per raccontare qualcosa in più di del locale, a partire dal menu.
Il racconto del menu trova spazio anche nella risposta alle recensioni, positive e negative
Quando si risponde a un cliente che ha valutato il locale su Google o TripAdvisor bisogna farlo con in mente tutti gli altri, che ancora non ci conoscono. Quale occasione migliore di un avventore poco convinto dell’acidità di un formaggio, che ha consumato nel nostro locale, per raccontare che quella è proprio la qualità principale del nostro stracchino di capra? Persino le recensioni fasulle possono essere un’opportunità… Qualcuno ci scrive che non rispettiamo le scelte alimentari dei vegani ma non è vero? Raccontiamo brevemente nella risposta tutti i piatti privi di alimenti di origine animale che si possono consumare nel nostro locale.
Se utilizzato nel modo giusto, il menu è uno strumento potentissimo per attirare e fidelizzare i clienti. Ne parliamo con Anna Maria Pellegrino, cuoca e narratrice gastronomica, docente di storia e cultura del cibo, autrice per la televisione, blogger e presidente fondatrice dell’Associazione Italiana Foodblogger (Aifb).

Cos’è lo storytelling del piatto?
«Il cibo è di per se stesso una lingua e un linguaggio, un vero e proprio sistema di comunicazione – spiega Anna Maria Pellegrino. Lo storytelling del menu è fondamentale per dare al cliente gli strumenti necessari ad apprezzare quanto mangerà. Solo quando l’avventore è in grado di comprendere appieno il valore aggiunto che gli offriamo con la nostra cucina uscirà dal locale davvero soddisfatto. E avremo una probabilità decisamente maggiore di vederlo tornare a mangiare da noi. Purtroppo, oggi siamo letteralmente sommersi da discorsi e informazioni sul cibo, spesso a sproposito. L’informazione, però, non coincide con l’atto di comunicare. Basta pensare alla spettacolarizzazione che si fa di cuochi e cucina, quando invece il cibo è una questione decisamente seria».
Troppo spesso i ristoratori trascurano l’aspetto dello storytelling del menu, pensando che basti affidare a una fotografia (magari amatoriale) il “racconto” del piatto. Perché la fotografia è potenzialmente virale e facile da condividere sul web. Può stuzzicare l’appetito e attirare l’attenzione a un primo sguardo. Ma è altrettanto facile che si perda nell’oceano sconfinato di scambi estemporanei senza troppo valore. «Impegnarsi nello storytelling significa prima di tutto chiedersi, come ristoratori e soprattutto come chef, chi siamo. Perché se l’uomo in generale è ciò che mangia, lo chef è forse quello che sceglie di cucinare».
Parliamo la stessa lingua dei nostri clienti?
Secondo Anna Maria Pellegrino, per approcciare nel modo migliore lo storytelling del menu, dopo essersi interrogati sul proprio lavoro di chef, è necessario domandarsi se i piatti offerti sono in linea con i desideri e le esigenze della clientela alla quale ci si vuole rivolgere.
A questo punto è possibile individuare la strategia migliore per comunicare proprio con quei clienti e raccontare A LORO l’offerta del ristorante. «Come ogni linguaggio, il menu deve essere comprensibile alla platea cui ci rivolgiamo. Questo non significa che dobbiamo per forza piacere a tutti, anzi. Se un cliente che ha letto velocemente la carta dei piatti, dopo aver ordinato un gazpacho, lo rifiuta perché è freddo, la responsabilità non è dello chef. Ma se mi dimentico di valorizzare gli ingredienti che utilizzo e mi limito a elencare piatti e vini su una carta che non comunica nient’altro, non posso lamentarmi quando la fatica mia e della brigata di cucina non viene compresa e apprezzata davvero. Perché non sto proponendo il mio menu come una selezione studiata, quanto piuttosto come un’enciclopedia di cibi e bevande» sottolinea Pellegrino.
Lo storytelling ha radici lontane…
Così come è vero che “agli italiani piace parlare di cibo”, per citare Elena Kostioukovitch, è altrettanto vero che lo abbiamo sempre fatto. L’idea che il menu sia un linguaggio non è nuova e non dipende dall’avvento di internet e dal proliferare dei social network. «Anche se la digital transformation nella ristorazione ha reso indispensabile attuare strategie di storytelling del menu per continuare a essere concorrenziali, il menu è storicamente un linguaggio e i piatti vengono da sempre declinati per soddisfare e coccolare i clienti. Possiamo citare, ad esempio, Pellegrino Artusi, che già nel 1891 scrivendo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” aveva pensato a “una cucina per gli stomachi deboli”. Oppure le ricette ideate in base agli ingredienti stagionali descritte già nel primo Cucchiaio D’Argento del 1950. Nel corso del tempo il cibo è sempre stato al centro di numerosi discorsi. Ha la sua propria grammatica e sintassi. Lo chef la conosce, anzi è proprio lui a ideare il “dialetto” del suo ristorante, componendo un menu originale. Ma se non si impegna per educare i suoi clienti tutti gli sforzi in cucina saranno inutili» sottolinea la Presidente dell’Associazione Italiana Foodblogger (Aifb).
Quando chef e ristoratori si impegnano a educare i propri clienti ottengono un diretto vantaggio sulle entrate del ristorante
Cosa possono fare concretamente chef e ristoratori
Il tempo per cuochi e gestori di ristoranti è una risorsa preziosa che non basta mai, perché la giornata è completamente assorbita dalle incombenze quotidiane per portare avanti il locale. Viene quindi facile pensare che sia impossibile o quasi trovare spazio per impegnarsi a comunicare con i clienti ed educarli. «Non serve che chef e ristoratori facciano tutto in prima persona – chiarisce Anna Maria Pellegrino. È impossibile e sarebbe controproducente. Ma è importante che vengano formati sulle basi dello storytelling del menu e della digital transformation perché possano scegliere con cognizione di causa e consapevolezza servizi e strumenti che li possano aiutare, in modo da affidarsi agli specialisti più adatti alle loro esigenze. Le possibilità sono molteplici ed è quindi fondamentale sapere come muoversi tra offerte e proposte. Ecco perché, in occasione di Stelle della Ristorazione, il simposio organizzato dall’Associazione Professionale Cuochi Italiani (APCI) di cui faccio parte, insieme a RepUP abbiamo scelto di tenere un talk dal titolo “La nuova frontiera del digitale: reputazione online per valorizzare il menu agli occhi dei clienti attuali e potenziali“. L’appuntamento è a Stresa il 23 e 24 marzo».
La tecnologia che aiuta il business del ristorante
«Quando rifletto sul connubio tra tecnologia, ristorazione e storytelling del menu, la prima immagine che mi viene in mente è quella di Massimo Bottura che serve la sua speciale versione di lasagna croccantissima a un robot, in un video del 2016 che aveva fatto il giro del mondo – spiega la cuoca e blogger Pellegrino. Bottura fa lo storytelling della lasagna scegliendo un linguaggio comprensibile per il robot, utilizzando per comunicare i suoni prodotti nella preparazione del piatto. Ma la tecnologia per la ristorazione è soprattutto un insieme di strumenti che possono agevolare la vita di chef e ristoratori e migliorare l’esperienza del cliente.
«Parlando di tecnologia applicata allo storytelling del menu, potrebbe essere una buona idea quella di sfruttare QR CODE che rimandino alla storia di ingredienti e eccellenze tipiche italiane, come la stracciatella piuttosto che lo gnocco fritto. Così i clienti che vogliono approfondire possono accedere direttamente dal telefono a fonti di informazione precise ed affidabili. Oppure penso a quello che fa RepUP quando risponde alle recensioni online, raccontando i punti di forza del menu del ristorante mentre “spegne gli animi” dei clienti poco soddisfatti”» conclude l’esperta.
«E in fatto di recensioni ricordiamoci infine che i clienti non sono tutti brutti e cattivi. Talvolta ci segnalano difetti o problematiche relative ai nostri piatti che possiamo correggere per migliorarci. Tra i turisti e gli avventori ci sono anche quelli preparati e pronti ad assorbire con curiosità e interesse lo storytelling del menu. Ed è a loro che dobbiamo rivolgerci, anche perché sono quelli più disposti a pagare il giusto prezzo per vivere un’esperienza culinaria nel nostro ristorante».
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