Come progettare il menu per vendere (molto) di più

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Le tecniche di menu engineering, ovvero ingegnerizzazione del menu, nascono in USA negli anni ’80. Il loro scopo è semplice ma fondamentale per il successo di qualsiasi locale, dalla pizzeria allo stellato… Sfruttare al meglio uno dei più potenti strumenti di marketing per la ristorazione: la carta dei piatti.
Tutti i ristoranti hanno un menu. Non importa di quale genere sia il nostro: cartaceo o digitale, può sempre essere ottimizzato per aiutarci a vendere di più. Come? Guidando i clienti nella scelta. Questo non significa che “li stiamo imbrogliando” o stiamo limitando la loro libertà decisionale, anzi.
Un menu ingegnerizzato guida il cliente nella scelta dei piatti più redditizi
Chi si trova di fronte un menu studiato con cura e intelligenza non sa perché abbiamo selezionato certi colori, come abbiamo stabilito l’ordine dei piatti nella carta e perché il font dei caratteri è proprio quello. Avrà però la sensazione di avere in mano un menu piacevole da guardare e semplice da leggere, che non confonde le idee ma anzi presenta al meglio i piatti. Come per magia sceglierà più facilmente proprio le pietanze con il migliore food cost, più redditizie per noi, e ne sarà felice.
«Solo che non si tratta di magia ma di una tecnica ben rodata – sottolinea Laura Loprieno, co-founder di RepUP e Marketing & Brand strategist di Dynamo, agenzia di comunicazione milanese. Alcuni esperti di settore parlano addirittura di “scienza del menu”. Grazie a una carta ben fatta, il cliente sarà incoraggiato a fare certi abbinamenti e ordinerà velocemente senza passare minuti a sfogliare avanti e indietro le pagine. L’ingegnerizzazione del menu è quindi una strada che fa vincere tutti: ristoratori e avventori». Vediamo insieme come raggiungere questo risultato.
- Tutti i vantaggi di un menu studiato con cura
- La scelta dei piatti
- La quantità dell’offerta fa la differenza
- Si parte sempre da un’analisi oggettiva
- Bello sì, ma soprattutto ordinato
- Posizionamento dei piatti nel menu
- Cosa fare dei piatti che funzionano poco
- La psicologia del menu
- Il menu “esploso”: offline e online
«Il primo passo è semplice ma non scontato: bisogna cancellare dalla mente l’idea che il menu sia solamente un mezzo per comunicare al cliente cosa offriamo e a che prezzo. Il valore e il ruolo del menu vanno decisamente oltre» chiarisce Loprieno. Secondo un noto esperto del settore, Gregg Rapp, una carta ben ingegnerizzata può consentire di guadagnare fino al 30 o 40% in più. Soprattutto se alle tecniche di menu engineering abbiniamo altri accorgimenti per aumentare gli incassi.
Grazie allo studio accurato del menu si può guadagnare fino al 40% in più
Inoltre, una carta dei piatti studiata ad hoc consente di abbattere i costi. Indirizzando i clienti negli ordini si riducono gli sprechi e può essere più facile pianificare le scorte. Sapremo infatti con una certa dose di sicurezza quali saranno i piatti e quindi gli ingredienti più richiesti.
Facciamo fatica a vendere proprio i primi e i secondi sui quali vorremmo puntare, nonostante i camerieri li propongano con impegno agli avventori? Anche questo problema dovrebbe risolversi facilmente riprogettando il menu.
La scelta dei piatti
Se non abbiamo mai effettuato uno studio del nostro menu in ottica di food cost è inutile mettere in discussione l’engineering della carta dei piatti, dobbiamo fare un passo indietro e ripensare tutto. Se invece stiamo progettando una nuova apertura siamo nella posizione migliore per studiare la nostra offerta da zero. Alcuni studi di settore evidenziano che la decisione su quali piatti dovrebbero apparire nel menu è cruciale per massimizzare la redditività del ristorante e fidelizzare i clienti (fonte: The Journal of Hospitality & Tourism Research). Quindi non solo il come è importante ma anche il cosa. Ogni piatto ha un suo grado di efficienza e può risultare più o meno vantaggioso da aggiungere a menu, in base sia al suo food cost sia al grado di interesse mostrato in un dato periodo di tempo dalla clientela target.
Quando si crea un nuovo menu è possibile studiare ogni singolo piatto perché la carta porti la maggiore redditività possibile al ristorante
Un consiglio è quello di scegliere quei piatti, magari rivisitati con creatività, che siano sulla cresta dell’onda. Basta inserirne un paio di questo genere, che possiamo definire “alla moda”. Ricordandoci però che non vanno semplicemente seguiti i trend più popolari. «È necessario comunicare che la scelta del menu è di qualità e che il ristorante è pronto a soddisfare le esigenze di chi deve seguire diete speciali – continua la co-founder di RepUP. È strategico avere sempre a disposizione qualche piatto per vegetariani, vegani, intolleranti, eccetera. E magari puntare sulla scelta di alcuni ingredienti biologici, piuttosto che a chilometro zero, presidi slow food e così via. Ma soprattutto è strategico comunicare questi plus in modo che il cliente ne sia consapevole a un primo sguardo. Meglio ancora è farglielo sapere nel momento in cui sta scegliendo dove mangiare, attraverso i profili delle piattaforme di recensioni come Google e TripAdvisor».
Ingegnerizzare il menu partendo dal tipo di piatti offerti può portare a un ulteriore incremento delle entrate, fino a un 15% in più (Fonte: An Efficiency-Based Metafrontier Approach To Menu Analysis). I ricercatori dello studio citato, che ha raccolto i dati studiando le diverse risposte della clientela in più ristoranti della stessa catena, sottolinea che a contare molto, oltre alla costruzione del menu, è anche l’abilità del cameriere che può portare un menu ben fatto a diventare un vero e proprio strumento di boosting delle vendite.
La quantità dell’offerta fa la differenza
Non ha senso cercare di offrire ai clienti un menu molto vasto. Il rischio è quello di sprecare molto cibo e ridurre i margini di guadagno, senza riuscire a garantire un servizio di qualità. Limitando le voci a menu, invece, potremo più facilmente concentrarci su proposte culinarie ricercate, guidare la scelta dei clienti e organizzare al meglio la cucina. Tanti esperti suggeriscono di fermarsi a 7/10 proposte, ma anche 15 può essere un numero non troppo difficile da gestire. Molto dipende dall’organizzazione della brigata di cucina. A questo proposito risulta preziosissimo lo strumento della distinta di base.
Si parte sempre da un’analisi oggettiva
«Immaginiamo di avere aperto già da qualche tempo, ma di essere scontenti di come vanno gli affari. In ogni operazione di marketing e management che si rispetti la prima azione da fare è analizzare con cura (e senza mentire a se stessi) il proprio oggetto di studio. Rivolgiamo tutta la nostra attenzione alla carta dei piatti che stiamo utilizzando – spiega Laura Loprieno. Senza trascurare nessun aspetto, dal supporto usato al posizionamento dei piatti rispetto alle pagine e alle dimensioni del menu. Di che materiale è fatto? Lo abbiamo plastificato o meno? Che sensazione restituisce quando lo teniamo in mano? Il suo aspetto è sempre nuovo anche dopo parecchio tempo dal primo utilizzo o si rovina facilmente? Il suo design è in linea con l’immagine generale del nostro locale? Quanto è facile da leggere?». Dopo aver risposto in prima persona chiediamo un parere anche ai nostri collaboratori e prendiamoci qualche giorno per osservare i clienti intenti a scegliere i piatti da ordinare.
L’osservazione diretta dei clienti ci dirà se il menu funziona oppure no
Se di fronte al nostro menu notiamo smarrimento e indecisione da parte di più persone, qualcosa non va. «Guardiamo come si comportano: rileggono più volte le stesse righe? Girano e rigirano la carta tra le mani? Prendiamo appunti durante le nostre osservazioni. E scriviamo nero su bianco anche i suggerimenti che arrivano da brigata di cucina e personale di sala» dice Loprieno. Alla fine tiriamo le somme e proviamo a dare un voto da 1 a 10 al nostro menu dal punto di vista di:
- Design e aderenza all’immagine generale del locale
- Numero di volte in cui il cliente sceglie i piatti più profittevoli
- Leggibilità dei testi, prezzi compresi e descrizione delle pietanze che dovrebbe essere chiara ma anche accattivante
Ricordiamoci che la facilità di lettura corrisponde di solito a un breve tempo di scelta.
Se non abbiamo ottenuto la sufficienza in tutti i punti della nostra autovalutazione, dobbiamo correre ai ripari. La maggior parte dei nostri clienti rischia infatti di ordinare un piatto a caso, con scarsa convinzione. Molto probabilmente usciranno dal locale insoddisfatti, indipendentemente dalla bravura dello chef. I voti sopra il 6 (se siamo stati onesti) rappresentano la sufficienza, ma possiamo fare comunque molto per migliorare le nostre entrate.
Bello sì, ma soprattutto ordinato
Quando scegliamo i colori da usare nel menu facciamolo con un occhio di riguardo al brand che abbiamo creato per il nostro locale. «L’immagine coordinata del ristorante passa anche dal menu. Scegliamo tinte che richiamino aspetti come la freschezza o la genuinità degli ingredienti, ad esempio il verde – suggerisce l’esperta di marketing strategy di RepUP. O colori solari che mettano appetito, come il giallo o l’arancione. All’eleganza e alla bellezza di simboli e caratteri dobbiamo preferire sempre leggibilità e chiarezza». Un principio applicabile sia all’aspetto sia ai contenuti del menu.
Non c’è bisogno di usare font calligrafici o decorativi e descrizioni contorte per sembrare raffinati: rischiamo di ottenere l’effetto contrario
Forse non vale la pena usare termini troppo complicati per descrivere i piatti, rischiamo di sembrare pretenziosi e di non farci capire dai clienti. Un’indicazione che può comunque valere anche per i ristoranti di lusso. Possiamo evocare la bontà delle pietanze offerte senza scomodare tecnicismi o aggettivi che non si sentono più dai primi decenni del Novecento… Per quanto riguarda la dimensione di testo e prezzi, le scritte devono essere leggibili per tutti, indipendentemente dalle bontà della vista. Però non esageriamo con la grandezza delle cifre: i prezzi devono essere visibili ma allo stesso tempo discreti, per non scoraggiare la spesa.
Grassetti, corsivi e illustrazioni possono aiutare ad attirare l’occhio del cliente, ma non bisogna esagerare. Meglio essere essenziali e fare una bella pulizia degli elementi inutili. Come dicono gli inglesi, quando si parla di menu engineering less is more, ovvero: meno è meglio.
I prezzi devono essere visibili ma allo stesso tempo discreti, per non scoraggiare la spesa
A questo punto è arrivato il momento di capire come posizionare i piatti all’interno del menu per guidare i clienti nella scelta. Facciamo un elenco della nostra offerta dividendo ciascuna pietanza in base alla sua popolarità e alla sua reddittività. Se non abbiamo uno storico dei piatti venduti iniziamo a crearlo: è molto importante. Il ristorante è un’azienda e come tale va trattato. Nessuna impresa lavora senza raccogliere questi dati. Servono a monitorare l’andamento degli affari e a fare previsioni coerenti sul futuro.
Suddividiamo i piatti sulla base di redditività e popolarità
In mancanza di altro basiamoci sugli ordini effettuati ai fornitori per risalire a quali sono le pietanze più vendute. Incrociamo la tabella dei piatti più popolari con quella dei più redditizi per arrivare a quattro categorie distinte:
- 1: molto popolari e molto redditizi
- 2: abbastanza popolari e poco redditizi
- 3: molto redditizi ma poco popolari
- 4: poco popolari e poco redditizi
Per quanto riguarda la redditività basiamoci sull’analisi del food cost. Mentre per stimare la popolarità dobbiamo tarare i numeri sulla base delle nostre vendite mensili. Potremmo prendere i dati dell’ultimo anno, scegliendo tre mesi di riferimento. Meglio se decidiamo di far entrare nel computo periodi differenti, così da stimare cosa succede sia nei momenti di picco delle vendite sia nei momenti meno movimentati. Sono sempre gli stessi piatti a vendere? Molto probabilmente sì.
Chi ha a disposizione un programma di contabilità e statistiche con una semplice interrogazione del sistema informatico può ottenere i dati di tutto l’ultimo anno e sfruttare quelli
«I piatti della categoria 1 sono quelli che funzionano meglio, quindi è fondamentale che, all’interno del nostro menu, spicchino su tutti gli altri. Di solito si sceglie di inserirli nella parte centrale della carta – sottolinea la nostra esperta. Se abbiamo un menu corposo di molte pagine vanno aggiunti nelle prime. Un trucco molto efficace è quello di dedicare uno spazio maggiore a questa parte dell’offerta, proponendola esplicitamente come “cavallo di battaglia”, nelle specialità dello chef».
I piatti più redditizi devono spiccare: non solo vanno posizionati in modo che siano più visibili ma possono anche avere più spazio fisico all’interno del menu
Descriviamo questi piatti con accuratezza. Potremmo valutare di inserire una foto in alta risoluzione, ma solo se realizzata da un professionista. Sempre Secondo Gregg Rapp una sola fotografia professionale per pagina può far aumentare del 30% le vendite. Potremmo decidere di far realizzare un piccolo reportage dei piatti più amati e redditizi.
«Oppure possiamo pensare di aggiungere qualche informazione sui fornitori degli ingredienti, se sono pregiati. O ancora, ed è oggi uno degli strumenti di maggiore forza, usiamo nel menu tre o quattro delle migliori recensioni ricevute sui social. Gli avventori leggeranno dalle parole di altri clienti quanto sono buoni quei piatti! E ci crederanno senza dubbi» specifica Laura.È una soluzione particolarmente efficace soprattutto per quei locali che scelgono di affidarsi a menu e totem digitali, come quelli di Touch Menu.
Descrizioni accurate, foto, recensioni e informazioni sui fornitori sono strumenti utili per spingere i nostri cavalli di battaglia
I piatti piuttosto popolari ma poco redditizi, quelli della categoria 2, vanno modificati. Teniamoli a menu, perché piacciono ai clienti, ma cerchiamo di fare in modo che ci costino un po’ meno. Oppure proviamo a venderli a un prezzo maggiore introducendo piccoli cambiamenti che non impattino negativamente sul food cost, dando al piatto maggior prestigio. Potrebbero bastare l’aggiunta di una spezia e un impiattamento differente. O un contorno che arricchisca la portata.
Cosa fare dei piatti che funzionano poco
L’offerta che rientra nella categoria 3, redditizia ma purtroppo poco richiesta dai clienti, va valorizzata al meglio. Come? Concentriamoci soprattutto su un miglior posizionamento all’interno del menu. Senza togliere spazio ai piatti che già funzionano, possiamo pensare, a rotazione, di inserire quelli del gruppo 3 nell’offerta del giorno. Magari in questo caso vale proprio la pena far scattare qualche foto da un fotografo di food. Potrebbe bastare per far migrare questi piatti dalla categoria 3 alla categoria 1.
Ed eccoci alla nota dolente: dobbiamo abbandonare tutta l’offerta che rientra nel gruppo 4. I piatti che non funzionano perché poco popolari e poco redditizi rappresentano solo un costo. Se non vogliamo farlo proviamo almeno a modificarli per renderli più profittevoli. E limitiamone al massimo la produzione.
«Secondo alcune teorie di psicologia cognitiva, qualunque cliente, quando prende in mano un menu, indipendentemente da età, sesso, estrazione sociale, interessi e gusti, è portato a leggere per primi i piatti che si trovano al centro della carta – racconta Loprieno. Poi passerà a quelli collocati nell’angolo destro e infine a quelli che si trovano sulla sinistra, guardando dall’alto verso il basso. Questa lettura “a triangolo rovesciato” va sempre tenuta a mente quando si realizza il design del menu». Se anche i clienti decideranno, in un secondo momento, di leggere le descrizioni dei piatti una per una partendo dagli antipasti e finendo ai dolci, come prima cosa guarderanno tutto il menu muovendo lo sguardo secondo lo schema descritto.
Per primi vengono letti i piatti al centro della carta
Proviamo a proporre delle vendite incrociate, magari abbinando antipasti e primi, secondi e contorni, o piatti e vini. Dopo il nome e la descrizione della pietanza potremmo semplicemente scrivere “Perché non provarlo con…” oppure “Lo chef consiglia di abbinare..”. Sembrano piccolezze, ma se anche i colossi della vendita online utilizzano le tecniche di cross selling un motivo c’è.
«Non dimentichiamoci che oggi il menu non è più confinato all’interno della cartadei piatti. Lo troviamo sui siti dei ristoranti e sui profili dei portali che ospitano le recensioni, ovvero Google, TripAdvisor e TheFork. Prima ancora di avere in mano il menu fisico, i clienti consultano quello digitale – chiarisce Laura Loprieno. Ed è quindi fondamentale che sia chiaro cosa offriamo e se nel nostro ristorante prepariamo piatti adatti agli intolleranti o a chi segue diete speciali, come i vegetariani. Se le informazioni sui profili nelle piattaforme dei commenti online sono incoerenti o incomplete perderemo clienti. Perché la prima cosa che fanno gli avventori per scegliere dove andare a mangiare è informarsi in Rete. Quando qualche dato non è chiaro passano subito a un altro ristorante. Il menu diventa quindi uno strumento per battere la concorrenza in tutte le sue declinazioni, soprattutto online».
La seconda cosa che fanno i consumatori è scoprire quello che dicono di noi coloro che ci hanno già provato, leggendo le recensioni. Anche dai commenti online vengono fuori osservazioni interessanti sul menu, che potremmo analizzare per capire se qualcosa non funziona. Non solo: rispondendo alle recensioni possiamo creare un’ottima occasione per raccontare qualcosa in più della nostra offerta. Descriviamo, ad esempio, il lavoro della brigata di cucina e le storie legate all’origine degli ingredienti e ai fornitori.
La risposta alle recensioni diventa un’occasione per raccontare il nostro menu
«C’è poi un altro tema: il menu digitalizzato offre una facilità di aggiornamento incredibile e permette di ampliare l’offerta e variarla, creando dei sottomenu stagionali o temporanei, a tema. Per San Valentino, per la Festa della Donna o della Mamma e così via. E oltre a essere realizzato relativamente in fretta (sempre seguendo una precisa strategia di marketing) il menu digitale a tema può essere comunicato ai clienti di cui abbiamo il contatto, e promosso sui social. Non serve abbandonare per forza la carta dei piatti fisica, possiamo tranquillamente abbinare i due elementi. Ben consapevoli che il menu digitale viaggia in più luoghi virtuali, su più di un canale. E va curato nel dettaglio quanto e più di quello cartaceo»suggerisce l’esperta.
Infine, non dimentichiamo mai che il menu deve essere fruibile per tutti, turisti stranieri compresi. Se stiamo cercando un servizio di traduzione efficace che ci dia una marcia in più proviamo a informarci sul sito di DishCovery.
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