Ristorazione: 5 consigli per sprecare meno cibo e guadagnare di più

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Sprecare meno cibo, nel mondo della ristorazione, è possibile. E impegnarsi su questo fronte consente di ottenere due importanti benefici in uno. Fare del bene al pianeta, agendo responsabilmente, e migliorare la profittabilità del nostro locale. Per questo abbiamo deciso di inquadrare il problema partendo dai dati di fatto per poi stilare un elenco di consigli utili per fare subito qualcosa.

Sprecare meno cibo: misuriamo il problema

Ogni ristorante, in Italia, produce da 2 a 5 sacchi di scarti alimentari a settimana, pari a fino 1100 litri di prodotti che vengono buttati via. I dati sono stati recentemente raccolti da Metro, rivenditore all’ingrosso che si rivolge ai professionisti della ristorazione. Potrebbero sembrare cifre poco significative… Ma se moltiplichiamo questi numeri per il totale dei locali nel nostro Paese (circa 330.000) arriviamo a oltre 15 miliardi di litri (la stima è al ribasso) all’anno. E se facciamo una media di spreco simile per il resto del mondo diventa chiaro che, ogni anno, un terzo del cibo prodotto per il consumo umano viene buttato via.

Ogni anno circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano viene buttato via

Sul nostro pianeta, oggi, coesistono situazioni contraddittorie, agli antipodi: circa 800 milioni di persone soffrono la fame mentre 2 miliardi di adulti sono in sovrappeso oppure obesi.

Altro dato spesso trascurato: lo smaltimento delle eccedenze alimentari si ripercuote sull’ambiente, causando l’8% delle emissioni globali di gas serra. A tutto questo si accompagnano cifre da capogiro per smaltire scarti e cibo in eccesso che pesano sulle tasche dei cittadini e soprattutto dei ristoratori. Cioè sulle nostre tasche. E i ristoratori pagano due volte, come esercenti e come comuni cittadini.

Lo smaltimento delle eccedenze alimentari si ripercuote sull’ambiente, causando l’8% delle emissioni globali di gas serra

Il punto di vista dei ristoratori

I ristoratori sanno bene che sprecare meno cibo farebbe del bene a tutti. Anche se pochi inquadrano il problema nella sua interezza. Secondo una recente ricerca condotta dal Centro Studi Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), l’80% dei ristoratori intervistati ritiene rilevante o addirittura molto rilevante lo spreco alimentare. Il 51,6% dei gestori di ristoranti, pizzerie, gelaterie e pasticcerie crede che la fase finale, quella del consumo da parte del cliente, sia il momento in cui avviene il maggiore spreco di cibo, seguita dall’approvvigionamento e dalla preparazione in cucina.

Facciamo del bene al pianeta e alle nostre tasche

In realtà, i passaggi più critici in ottica di spreco alimentare sono legati alla spesa e all’organizzazione in cucina. Se gestiti correttamente consentirebbero di sprecare molto meno cibo. Gli avanzi lasciati nel piatto sono comunque un problema, che come tale va gestito, ma non il più importante.

Le fasi critiche quando si parla di sprecare meno cibo, sono legate soprattutto alla spesa e all’organizzazione in cucina

Ovviamente non è solo il risvolto etico a preoccupare i ristoratori: calcolatrice alla mano, sprecare cibo impatta in maniera significativa sui bilanci di esercizio. “Tuttavia, quando si parla di spreco alimentare e ristorazione bisogna chiarire quale tipo di ristorazione si sta prendendo in considerazione. Collettiva, d’assistenza (ospedaliera), aziendale (tramite mense), legata ai servizi di catering, realizzata per la navigazione, eccetera. Ogni tipologia ha modalità di servizio diverse e quindi è soggetta a problematiche di spreco differenti– chiarisce Roberto Carcangiu, presidente APCI (Associazione Professionale Cuochi Italiani) e consulente esperto, specializzato nelle strategie per migliorare il business dei locali. Il dato che nessuno si aspetta è che chi spreca meno, in questo ecosistema, sono proprio i “classici” ristoranti sulla strada. Questo non significa, però, che non sia comunque importante (anzi fondamentale) ridurre gli scarti nei locali aperti al pubblico“.

I ristoranti su strada, nel mondo della ristorazione a 360°, sono quelli che sprecano meno, ma c’è ancora molto da fare

Quali risorse abbiamo oggi a disposizione per affrontare il problema degli sprechi alimentari, salvaguardando non solo il nostro territorio ma anche il business della ristorazione? Ecco 5 consigli da seguire fin da subito per sprecare meno cibo e gestire in modo intelligente gli sprechi inevitabili.

1 La pianificazione in cucina

Partiamo dalle materie prime che servono per preparare il nostro menu e dalla loro gestione. Il primo passo da compiere è una corretta pianificazione degli alimenti grezzi da acquistare presso i fornitori. Possiamo utilizzare delle schede che raccolgono tutti i parametri da tenere in considerazione allo scopo di ottimizzare la resa degli ingredienti acquistati. Per ogni materia prima si possono agilmente calcolare, ad esempio, il costo e il tempo di lavorazione necessario per ottenere il prodotto intermedio utile alla preparazione successiva di un piatto.

Il primo passo? Pianificare con attenzione quali alimenti grezzi acquistare

Vanno calcolati, innanzitutto, il peso netto a crudo e la resa gastronomica, oltre all’eventuale perdita di peso giornaliera (quando si tiene il prodotto semilavorato nel frigo o conservato in altro modo) e tutti gli scarti legati alla lavorazione. In pratica, dopo aver pesato l’alimento all’inizio lo si pesa dopo la prima fase di lavorazione, misurando anche quanto se ne butta via. E si monitora il rapporto tra peso/resa al momento dell’utilizzo se non lo si impiega subito per un piatto.

Dopo aver pesato l’alimento prima della lavorazione lo si ripesa dopo, misurando quanto se ne butta via

Comparando materie prime della stessa categoria alimentare, ad esempio diversi tipi di carni o di pesce, si può facilmente identificare quello più conveniente in termini di resa e di scarti, a parità di prezzo d’acquisto e costi di lavorazione. Talvolta non conviene preparare “in casa”: è meglio acquistare un prodotto semilavorato già pronto, se esiste. Nella lavorazione, quando parliamo in ottica di spesa e di resa, dobbiamo contare non solo gli scarti e il tempo impiegato dall’operatore per ottenere il semilavorato, ma anche la quantità di acqua per il lavaggio e/o la cottura, il gas, i minuti necessari a pulire tutto, eccetera. In sostanza è importante valutare il food cost nella sua interezza.

Cambiare menu, anche di poco, può essere un sistema vincente per sprecare meno e guadagnare di più

La pianificazione ha un ruolo centrale nella lotta allo spreco alimentare – afferma Roberto Carcangiu. Un progetto chiaro di cucina si può subito mettere in campo, con qualche sforzo. Sprecare meno è un imperativo sacro a livello etico. E per chi non crede al dovere morale c’è comunque un’ottima ragione per prendere sul serio l’argomento: sprecare meno cibo significa garantire al proprio locale una maggiore redditività a fronte della stessa cifra di denaro incassato”.

Un progetto chiaro di cucina, a partire dagli alimenti grezzi da acquistare, può essere messo in atto in tempi brevi portando subito risultati tangibili

Sono molto utili le tabelle indicative degli scarti di ogni singolo alimento, che si possono trovare online oppure si possono costruire giorno per giorno dedicando loro parte del proprio tempo (è però un lavoro lungo). In questo anche l’aiuto di un consulente può essere prezioso. Per ciascuna tipologia di verdura, carne e pesce basta identificare la percentuale che andrà a costituire lo scarto nel corso della lavorazione. “Per ridurre sprechi bisogna innanzitutto imparare ad acquistare bene– specifica ancora il Presidente di APCI. Tutto quanto viene utilizzato e preparato in cucina deve essere sotto controllo. Come? Attraverso schede tecniche che chiariscano da dove proviene ogni ingrediente e che caratteristiche ha, quanto se ne usa, eccetera”.

2 Le donazioni ai rifugi per animali

Una volta ottimizzate le entrate alimentari che servono a preparare i piatti nel nostro menu, vediamo come possiamo intervenire sugli scarti che vengono inevitabilmente prodotti. Purtroppo nessun alimento è utilizzabile al 100%. Parlando di scarti di materie prime o di scarti di piatti finali non destinabili al consumo umano, la soluzione è la donazione ai rifugi per animali che si trovano sul territorio, che spesso hanno bisogno di una mano per sostenere i loro ospiti a quattro zampe.

Le normative al riguardo sono ancora un po’ confuse e variano a seconda del comune in si opera. Alcune iniziative, tuttavia, ci vengono incontro. In molte città sono attivi servizi e programmi di ritiro e consegna dei residui alimentari, che sollevano il ristoratore dalle spese di trasporto. Ogni comune dovrebbe avere linee guida per la conservazione, la gestione e l’imballaggio di queste derrate. È possibile poi accordarsi direttamente con i rifugi e le Onlus più vicine, ma è sempre buona regola, prima, informarsi sulla normativa vigente in termini di responsabilità delle parti coinvolte, per non avere scocciature.

3 Gli accordi con gli enti di beneficienza

Come gestire invece le materie prime inutilizzate o le pietanze già preparate e non consumate? Sono sempre di più i ristoranti che decidono di devolvere le proprie eccedenze alimentari ad organizzazioni caritatevoli che si occupano di distribuzione di alimenti a persone bisognose. La normativa in questo campo ha fatto enormi progressi e ha reso più agevole il coinvolgimento nella filiera umanitaria. La legge 155 del 2003, nota come Legge del Buon Samaritano rende possibile il recupero degli alimenti rimasti invenduti nel circuito della ristorazione organizzata da parte di tutte le Onlus che operano a fini di solidarietà sociale, per la donazione a persone indigenti. Tali associazioni, in quest’ottica, sono equiparate ai consumatori finali, ai fini del corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti.

Cedendo il cibo in surplus alle associazioni che ne hanno diritto i ristoratori non hanno alcun obbligo di garantirne la bontà dopo la consegna

I ristoratori possono cedere il surplus destinato alla distruzione alle organizzazioni che ne hanno diritto, senza avere la responsabilità di fornire garanzie dopo la consegna. Progetti come Siticibo a Milano recuperano dalla ristorazione organizzata esclusivamente cibi cucinati, alimenti freschi e prodotti da forno, integri e non serviti, che vengono consegnati presso gli enti beneficiari usando furgoni attrezzati per la conservazione. Possiamo trovare iniziative analoghe su tutto il territorio contattando il Comune di appartenenza. In questo modo non ci guadagniamo nulla in termini di denaro, ma facciamo del bene e risparmiamo sul costo di gestione dei rifiuti.

4 Il rimpiattino, la doggy bag tutta italiana

Vediamo ora cosa fare, invece, con i piatti preparati e serviti al cliente finale, ma non completamente consumati dai clienti. In molti paesi anglosassoni è ormai abitudine l’uso della doggy bag, ossia la possibilità per il cliente di portare a casa, in un contenitore usa e getta, l’avanzo del piatto non consumato al ristorante. In Italia, però, quest’iniziativa fatica ancora a prendere piede. Secondo uno studio della Fipe, come dichiarato da Silvio Moretti, direttore Area Relazioni Sindacali, Previdenziali e Formazione della Federazione, il 55% dei clienti dei ristoranti non chiede la doggy bag per imbarazzo, il 19,5% per scomodità, il 18,3% per indifferenza e la restante parte perché teme che il cibo perda in igiene e freschezza.

Il 55% dei clienti si vergogna a chiedere la doggy bag

Alcune campagne e investimenti governativi promettono tuttavia un cambio di rotta. Fipe e Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base cellulosa) hanno deciso di combattere lo spreco alimentare con un tocco di stile tutto italiano e hanno creato il RimpiattinoUna “Doggy Bag” in cartoncino, riciclabile al 100% e riutilizzabile, disegnata dal designer Giulio Iacchetti e decorata da Guido Scarabottolo. Il programma fornisce un adesivo da apporre sulla vetrina del locale, per informare i propri avventori della possibilità di ricevere il Rimpiattino. Per maggiori informazioni si possono contattare Fipe, Comieco o il proprio Comune.

In alternativa potremmo provare a incoraggiare i clienti a portare a casa gli avanzi proponendolo noi, senza aspettare che ce lo chiedano, magari trovando una formula simpatica. Molti apprezzeranno e potrebbero essere più motivati a lasciarci una recensione positiva.

5 Le piattaforme e le app per rivendere il cibo

Anche l’ecosistema del digitale e delle app ci viene incontro per sprecare meno cibo. Esistono, infatti, applicazioni e piattaforme che consentono a ristoranti e panifici di rivendere il cibo rimasto in negozio o in cucina a fine giornata. Tra le più note e meglio recensite c’è la piattaforma Too good To Go, ora attiva anche in Italia. Come funziona? È sufficiente raccogliere i piatti invenduti nelle “magic box”, scatole create apposta per contenere un qualsiasi piatto del menu e fornite dall’azienda, da mettere poi a disposizione dei clienti finali per il ritiro. Gli utenti della piattaforma possono prenotare facilmente le Magic Box attraverso un’app e ritirarle all’orario prestabilito. Comodo e veloce, il sistema di To Good To Go promette di aiutare venditori e ristoratori ad aumentare le vendite e attirare nuovi clienti. Secondo una recente ricerca “su 114 ristoranti in 12 paesi che hanno deciso di affidarsi a Too good to go, tutti hanno avuto un ritorno positivo nei propri incassi, risparmiando in media 7 dollari per ogni dollaro investito nel ridurre gli sprechi in cucina” (Clowes et al, 2019)

Cosa aspettarsi dal futuro

Con la popolazione mondiale in continuo aumento e le risorse a nostra disposizione sempre più limitate, diminuire lo spreco alimentare diventerà essenziale negli anni a venire per la sopravvivenza del genere umano. Per affrontare il problema alla radice, saranno fondamentali non solo iniziative come quelle che abbiamo suggerito, da applicare subito, ma anche approcci più sistematici. Si dovrà, ad esempio, riorganizzare l’intera filiera alimentare per ridurre perdite e sprechi ad ogni passaggio della produzione, dai campi e dalle fattorie fino alle nostre tavole. La creazione di aziende che si occupino esclusivamente di lavorazioni di base potrebbe costituire un passo importante in questa direzione.

Tra gli obiettivi deve esserci quello di riorganizzare l’intera filiera alimentare

I ristoranti potrebbero acquistare le materie prime già preparate e pronte per la creazione finale dei piatti, con risparmio di tempo, denaro e scarti.“Si dovrebbe forse ripensare il sistema-cucina nella sua totalità – afferma Carcangiu. La soluzione più semplice potrebbe essere forse quella di concentrare le preparazioni di base negli stessi luoghi, e poi procedere altrove con le successive lavorazioni e l’impiattamento. I ristoranti, ma anche le mense, fanno sempre più fatica ad avere a disposizione grandi quantità di personale. Ne consegue che aumentare il lavoro a carico della brigata di cucina non è possibile. Se tutta la verdura fosse già tagliata alla misura che occorre, e così carni e pesci, la cucina non se ne dovrebbe occupare. Qualcun altro si potrebbe specializzare nella preparazione delle materie prime minimizzando gli sprechi”.

I ristoranti potrebbero acquistare le materie prime già preparate e pronte per la creazione finale dei piatti, con risparmio di tempo, denaro e scarti

Il miglioramento dei sistemi di conservazione è un altro punto focale verso un sistema più efficiente ed ecosostenibile. “Sarebbe importante sviluppare sistemi di conservazione più avanzati e soprattutto agevoli. Il sottovuoto purtroppo non è fra questi: un sacchetto (di plastica, oltretutto!) costa diversi centesimi e in aggiunta servono fra i 35 e i 45 secondi per ogni chiusura… Come fa un’azienda (perché il ristorante è un’azienda) a perdere un prezioso operatore perché deve dedicare il suo tempo a chiudere decine di sacchetti al giorno?” conclude Carcangiu. Tecnologie e materiali all’avanguardia faciliterebbero non solo la preservazione dei cibi ma aiuterebbero anche le tasche dei ristoratori, il personale della cucina e, non ultimo, il nostro territorio.

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